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Seward

Sebbene Seward non sia stata tra le località più direttamente colpite dall’incidente della Exxon Valdez, lo sversamento minacciò l’intero ecosistema marino della regione, compromettendo pesca, turismo e biodiversità. Negli anni successivi, Seward ha investito nella tutela ambientale e nell’educazione ecologica, diventando sede del Alaska SeaLife Center, un importante centro di ricerca e riabilitazione della fauna marina. Oggi la città incarna il delicato equilibrio tra attività umane, turismo e conservazione, mostrando come una comunità possa trasformare una crisi ecologica in un’opportunità di rinascita.
Uno studio del 2020 ha stimato che l’impatto economico totale dell’attività di avvistamento delle balene a Seward ammonta a circa 24,3 milioni di dollari e contribuisce a generare 290 posti di lavoro l’anno.
Fonte: www.fisheries.noaa.gov

Effetti ecologici dell'incidente della Exxon Valdez
Nella notte tra il 23 ed il 24 marzo 1989, la Exxon Valdez urtò Bligh Reef, una scogliera sommersa nel Prince William Sound, in Alaska, causando uno dei disastri ambientali più gravi nella storia degli Stati Uniti e dell’intero Pianeta. Lo sversamento di circa 41 milioni di litri di petrolio greggio ha avuto impatti ecologici devastanti e di lunga durata, che ancora oggi lasciano segni sull’ecosistema artico e subartico. Nei primi giorni dopo l’incidente morirono circa 250.000 uccelli marini, soffocati o intossicati dal petrolio, oltre a 2.800 lontre di mare, 300 foche, 22 orche e innumerevoli piccoli organismi marini. Nei primi anni ‘90, come diretta conseguenza dell’incidente, le popolazioni di aringhe del Pacifico, fondamentali per la catena alimentare, collassarono e da allora non si sono più riprese. Lo stesso avvenne nei salmoni, sui quali si registrarono alterazioni genetiche, fallimenti riproduttivi e inquinamento degli habitat di deposizione delle uova. Nonostante i numeri siano quelli diffusi da enti e istituzioni, la realtà è che non sapremo mai la vera entità dei danni visto che molti esemplari scomparvero al largo. Il petrolio, inoltre, penetrò profondamente negli habitat intertidali, contaminando anche alghe, invertebrati e fondali. Tra le specie più colpite, le orche di cui abbiamo documentato la storia del POD AT1.
Le orche del Pod AT1
Chenega, Iktua, Mike ed Egagutak sono 4 dei 7 membri del gruppo di orche Chugach (AT1). Sono orche transitorie, famose per i loro lunghi tempi in immersione, per i loro movimenti criptici e per le eccezionali tecniche di caccia. Di generazione in generazione, si sono specializzate nella cattura delle focene di Dall, dei leoni marini di Stellar e, soprattutto, della foca comune che trova rifugio tra scogli e piattaforme di ghiaccio. Sono inoltre geneticamente distinte da tutte le altre orche transitorie, nuotano in un raggio di azione molto più ristretto e le loro vocalizzazioni sono così uniche da costituire una lingua unica e diversa da quella utilizzata dalle altre orche per comunicare. E stanno scomparendo. All’epoca del disastro della Exxon Valdez, il gruppo familiare AT1 era composto da 22 membri. Dopo soli 2 anni, 11 dei 22 membri familiari del gruppo sono morti per cause direttamente collegate all’inquinamento. Negli anni seguenti, altre 4 orche sono state date per disperse o sono state rinvenute spiaggiate nei pressi della baia. Oggi, nonostante la salute dell’ecosistema e la qualità delle acque stia migliorando, gli effetti dell’incidente sul gruppo AT1 persistono: nessuna delle femmine si è mai riprodotta; la pinna dorsale di Mike non è cresciuta come avrebbe dovuto; e tutti gli individui mostrano livelli elevati di contaminanti nel loro grasso corporeo, come PCB e DDT. Oggi, il pod AT1 è considerato depleted sotto la Marine Mammal Protection Act degli Stati Uniti, cioè una popolazione svantaggiata che non mostra alcun segno di recupero ed è destinata ad estinguersi. Insieme a Chenega, Iktua, Mike ed Egagutak scomparirà anche la loro cultura e la loro lingua.
I ghiacciai di Seward
I ghiacciai del Kenai Fjords National Park stanno subendo un rapido e marcato ritiro dovuto alla crisi climatica di origine antropica. Un recente studio che ha analizzato lo stato di 19 ghiacciai tra il 1984 e il 2021 evidenzia che ben 13 su 19 hanno mostrato un consistente arretramento, mentre solo due hanno registrato un avanzamento netto. Il ghiacciaio Exit, ad esempio, è diminuito di oltre 700 metri solo dal 2004 ad oggi. Scoperto nel corso del XIX secolo da un gruppo di esploratori russi, l’Exit è una delle attrazioni più visitate dell’Alaska e offre ai turisti la possibilità di vedere da vicino gli effetti visibili del cambiamento climatico. Altri ghiacciai si comportano in modo diverso e il loro stato di salute viene spesso usato dai negazionismi per mera propaganda. E’ il caso del ghiacciaio Aialik. I dati raccolti sul suo stato di salute evidenziano che tra il 1986 ed il 2006 si è ritirato di circa 290 metri per poi stabilizzarsi tra il 2000 ed il 2010 e avanzare leggermente negli ultimi 10 anni. Tale comportamento non è assolutamente in conflitto con le evidenze relative alla crisi climatica in atto ma dipende da fattori locali e dalla complessità del sistema glaciale. Alcuni ghiacciai di tipo “surging”, ad esempio, alternano naturalmente periodi di rapido avanzamento e periodi di stabilità, indipendentemente dal clima. Il loro movimento dipende più dalla dinamica interna e dalla pressione alla base che dalle temperature esterne. Inoltre, in alcune aree come quella in cui si trova l’Aialik, temporanee variazioni delle correnti oceaniche possono ridurre lo scioglimento alla base dei ghiacciai, permettendone un temporaneo avanzamento.
Effetti ecologici dell'incidente della Exxon Valdez
Nella notte tra il 23 ed il 24 marzo 1989, la Exxon Valdez urtò Bligh Reef, una scogliera sommersa nel Prince William Sound, in Alaska, causando uno dei disastri ambientali più gravi nella storia degli Stati Uniti e dell’intero Pianeta. Lo sversamento di circa 41 milioni di litri di petrolio greggio ha avuto impatti ecologici devastanti e di lunga durata, che ancora oggi lasciano segni sull’ecosistema artico e subartico. Nei primi giorni dopo l’incidente morirono circa 250.000 uccelli marini, soffocati o intossicati dal petrolio, oltre a 2.800 lontre di mare, 300 foche, 22 orche e innumerevoli piccoli organismi marini.
Nei primi anni ‘90, come diretta conseguenza dell’incidente, le popolazioni di aringhe del Pacifico, fondamentali per la catena alimentare, collassarono e da allora non si sono più riprese. Lo stesso avvenne nei salmoni, sui quali si registrarono alterazioni genetiche, fallimenti riproduttivi e inquinamento degli habitat di deposizione delle uova. Nonostante i numeri siano quelli diffusi da enti e istituzioni, la realtà è che non sapremo mai la vera entità dei danni visto che molti esemplari scomparvero al largo. Il petrolio, inoltre, penetrò profondamente negli habitat intertidali, contaminando anche alghe, invertebrati e fondali. Tra le specie più colpite, le orche di cui abbiamo documentato la storia del POD AT1.
Le orche del Pod AT1
Chenega, Iktua, Mike ed Egagutak sono 4 dei 7 membri del gruppo di orche Chugach (AT1). Sono orche transitorie, famose per i loro lunghi tempi in immersione, per i loro movimenti criptici e per le eccezionali tecniche di caccia. Di generazione in generazione, si sono specializzate nella cattura delle focene di Dall, dei leoni marini di Stellar e, soprattutto, della foca comune che trova rifugio tra scogli e piattaforme di ghiaccio. Sono inoltre geneticamente distinte da tutte le altre orche transitorie, nuotano in un raggio di azione molto più ristretto e le loro vocalizzazioni sono così uniche da costituire una lingua unica e diversa da quella utilizzata dalle altre orche per comunicare. E stanno scomparendo. All’epoca del disastro della Exxon Valdez, il gruppo familiare AT1 era composto da 22 membri.
Dopo soli 2 anni, 11 dei 22 membri familiari del gruppo sono morti per cause direttamente collegate all’inquinamento. Negli anni seguenti, altre 4 orche sono state date per disperse o sono state rinvenute spiaggiate nei pressi della baia. Oggi, nonostante la salute dell’ecosistema e la qualità delle acque stia migliorando, gli effetti dell’incidente sul gruppo AT1 persistono: nessuna delle femmine si è mai riprodotta; la pinna dorsale di Mike non è cresciuta come avrebbe dovuto; e tutti gli individui mostrano livelli elevati di contaminanti nel loro grasso corporeo, come PCB e DDT. Oggi, il pod AT1 è considerato depleted sotto la Marine Mammal Protection Act degli Stati Uniti, cioè una popolazione svantaggiata che non mostra alcun segno di recupero ed è destinata ad estinguersi. Insieme a Chenega, Iktua, Mike ed Egagutak scomparirà anche la loro cultura e la loro lingua.
I ghiacciai di Seward
I ghiacciai del Kenai Fjords National Park stanno subendo un rapido e marcato ritiro dovuto alla crisi climatica di origine antropica. Un recente studio che ha analizzato lo stato di 19 ghiacciai tra il 1984 e il 2021 evidenzia che ben 13 su 19 hanno mostrato un consistente arretramento, mentre solo due hanno registrato un avanzamento netto. Il ghiacciaio Exit, ad esempio, è diminuito di oltre 700 metri solo dal 2004 ad oggi. Scoperto nel corso del XIX secolo da un gruppo di esploratori russi, l’Exit è una delle attrazioni più visitate dell’Alaska e offre ai turisti la possibilità di vedere da vicino gli effetti visibili del cambiamento climatico. Altri ghiacciai si comportano in modo diverso e il loro stato di salute viene spesso usato dai negazionismi per mera propaganda. E’ il caso del ghiacciaio Aialik.
I dati raccolti sul suo stato di salute evidenziano che tra il 1986 ed il 2006 si è ritirato di circa 290 metri per poi stabilizzarsi tra il 2000 ed il 2010 e avanzare leggermente negli ultimi 10 anni. Tale comportamento non è assolutamente in conflitto con le evidenze relative alla crisi climatica in atto ma dipende da fattori locali e dalla complessità del sistema glaciale. Alcuni ghiacciai di tipo “surging”, ad esempio, alternano naturalmente periodi di rapido avanzamento e periodi di stabilità, indipendentemente dal clima. Il loro movimento dipende più dalla dinamica interna e dalla pressione alla base che dalle temperature esterne. Inoltre, in alcune aree come quella in cui si trova l’Aialik, temporanee variazioni delle correnti oceaniche possono ridurre lo scioglimento alla base dei ghiacciai, permettendone un temporaneo avanzamento.

Baia, Seward, Alaska 2022

Oltre agli effetti ecologici dello sversamento, negli anni successivi al disastro sono stati registrati disturbi mentali nelle comunità locali, in particolare tra le popolazioni native. Sebbene gli impatti siano diminuiti nel tempo, due anni dopo lo sversamento i livelli di depressione, malattie mentali e stress nell’area erano ancora superiori alla media nazionale. Anche se il petrolio poteva non essere più visibile, gli effetti sull’ambiente, sulla salute umana e sulla sicurezza dei prodotti ittici persistevano e avrebbero continuato a prolungare le conseguenze sulla salute mentale degli abitanti della Resurrection Bay.

Foto di Davide Agati per WANE – WE Are Nature Expedition

Bear Glacier, Seward, Alaska 2022

All’interno del Parco Nazionale di Kenai Fjords, a sud di Seward, nelle Montagne Chugach, le lunghe e aggraziate curve del Bear Glacier si dirigono verso sud‑est fino al punto in cui si tuffa nella Resurrection Bay. Balene, orsi, pulcinelle di mare e foche trovano dimora in questa regione costiera in continuo mutamento. Una striscia scura al centro del ghiacciaio mostra le rocce e i detriti raccolti durante il suo viaggio in discesa, sotto il peso del ghiaccio e l’inevitabile forza di gravità.
La formazione dei ghiacciai è un processo complicato che dipende dalle variazioni stagionali. I ghiacciai, infatti, si formano quando, in inverno, si accumula più neve di quanta ne venga persa in estate. La neve accumulata viene compressa e diventa ghiaccio che poi scorre verso quote più basse. Il ghiaccio che si scioglie nella parte inferiore del ghiacciaio tende a essere sostituito dalla neve e dal ghiaccio provenienti dalle zone superiori. Se cade meno neve o le temperature aumentano, i ghiacciai che terminano sulla terraferma, come il Bear Glacier, tendono ad assottigliarsi con il tempo. Al contrario, si ispessiscono se le precipitazioni nevose aumentano o le temperature diminuiscono.
Tra il 1984 e il 2021, il ghiacciaio Bear ha perso una superficie pari a 17.28 Km2 e si è ritirato di 5.17 Km, con un’accelerazione visibile nel periodo 2014-2016 e 2018-2021. Il ritiro del ghiacciaio ha formato un lago proglaciale che nel 2023 ha raggiunto un’estensione di 23,6 km². Si prevede che il continuo ritiro espanderà ulteriormente la laguna, influenzando potenzialmente gli ecosistemi locali e i modelli di flusso glaciale.

Foto di Davide Agati per WANE – WE Are Nature Expedition

Lontra di mare, Seward, Alaska 2022

Nel 1990, il disastro della Exxon Valdez portò all’emendamento, da parte del Congresso degli Stati Uniti, dell’Oil Pollution Act. La legge La legge stabilisce chiaramente che chi rilascia petrolio è responsabile del costo della bonifica e della riparazione dei danni causati alle risorse naturali. Inoltre, rafforza le misure di prevenzione, la risposta e la bonifica delle fuoriuscite di idrocarburi nelle acque statunitensi istituendo un regime completo di responsabilità e risarcimento. Tra le misure previste vi è la messa a terra di piani di emergenza, l’aumento della supervisione federale sul trasporto di petrolio e la creazione di un fondo fiduciario per pagare la bonifica quando la parte responsabile non è in grado di farlo.

Foto di Davide Agati per WANE – WE Are Nature Expedition

Aquila Testa Bianca, Seward, Alaska 2022

Nell’ambito della conservazione, quella dell’aquila di mare testa bianca (Haliaeetus leucocephalus) è una storia di successo che dimostra come l’unione tra leggi efficaci, la loro applicazione rigorosa, e la collaborazione tra governo, cittadini e imprese, possa permettere ad una specie di risalire dal baratro dell’estinzione fino a raggiungere una popolazione nazionale in piena espansione. Fino agli anni ’70, infatti, oltre alla persecuzione diretta, la sopravvivenza dell’aquila di mare testa bianca era minacciata da un nemico silenzioso: il DDT. Quest’ultimo si accumulava nei pesci che costituivano la preda principale dell’animale causando effetti deleteri sul suo organismo e portando alla deposizione di uova così sottili da rompersi durante la cosa. I pochi anni, la rapida diminuzione dei pulcini portò ad un declino della popolazione del rapace simbolo degli USA. Grazie al suo inserimento nell’Endangered Species Preservation Act U.S. nel 1967 , alla messa al bando del DDT nel 1972, e all’emanazione del Bald and Golden Eagle Act nel 1972, oggi solo in Alaska vi sono dai 30.000 ai 50.000 individui di aquila testa bianca.

Foto di Davide Agati per WANE – WE Are Nature Expedition

Exit Glacier, Seward, Alaska 2022

Scoperto nel corso del XIX secolo da un gruppo di esploratori russi, negli ultimi decenni, il ghiacciaio Exit – che fa parte del Kenai Fjords National Park – ha subito un marcato ritiro, perdendo diversi chilometri di lunghezza a causa del riscaldamento globale. Oggi, il sentiero che porta al ghiacciaio è una delle attrazioni più visitate d’Alaska e offre ai turisti la possibilità di vedere da vicino gli effetti visibili del cambiamento climatico.

Foto di Davide Agati per WANE – WE Are Nature Expedition