Prudhoe Bay
Incastonata tra il Mare di Beaufort e la catena montuosa del Brooks Range, Prudhoe Bay è conosciuta per essere il sito del più grande giacimento petrolifero degli Stati Uniti. Scoperto nel 1968, il Prudhoe Bay Oil Field rappresenta da allora un punto nevralgico per l’industria energetica nordamericana e la chiave di volta della sua storia geo-politica con importanti implicazioni dal punto di vista dell’ambiente e dei diritti delle popolazioni native che abitano la regione.
Raschiare il fondo del barile
La scoperta del Prudhoe Bay Oil Field ha portato velocemente alla costruzione del Trans-Alaska Pipeline System, un oleodotto che collega Prudhoe Bay al porto di Valdez, 1.300 chilometri più a sud. Un sistema di trivelle, pompaggio e trasporto che minaccia la sopravvivenza di un ecosistema fragile come la tundra artica, e di specie che in migliaia di anni di evoluzione hanno sviluppato adattamenti fondamentali per sopravvivere ad un clima rigido e ad oscillazioni nella disponibilità di cibo. Nel solo Arctic National Wildlife Refuge è potenzialmente possibile osservare più di 200 specie di uccelli e vi si trovano anche foche, trichechi e tutte e tre le specie di orsi presenti nel continente nordamericano: l’orso nero, il grizzly e l’orso polare. Caratteristiche che non hanno fermato l’uomo dall’invadere questa regione fragile e dal costruire un sistema che trasporta una media di 1.8 milioni di barili di greggio al giorno.
I grandi migratori dell'artico sono in pericolo
I dati pubblicati nel 2023 dalla National Oceanic Atmospheric Administration (NOAA) nell’annuale Arctic Report Card dimostrano come, dal 1940 a oggi, le temperature nella regione artica siano aumentate di 0,25°C ogni 10 anni, con indubbie implicazioni sull’estensione e lo spessore del ghiaccio marino e del permafrost, che continuano a diminuire minacciando la sopravvivenza delle comunità indigene costiere e di svariate specie come il caribù di Barren (Rangifer tarandus groenlandicus).
Questi animali, appartenenti alla famiglia dei cervidae, sono soliti formare grandi mandrie che possono raggiungere le centinaia di migliaia di esemplari. Migrano due volte l'anno: in primavera si spostano nella tundra priva di vegetazione, vicino alla costa, dove si riproducono e le femmine partorisco i piccoli; in autunno, invece, tornano al sicuro nella foresta boreale. Quando si spostano, i due branchi principali della regione, (quello di Bathurst e quello di Porcupine) percorrono circa 1.350 chilometri - in linea d'aria - tra le loro aree di distribuzione estiva e invernale, dando vita ad uno dei più incredibili spettacoli della natura. Conosciuti e apprezzati in tutto il mondo, soprattutto per la loro storia legata alle tradizioni di Natale, i caribù hanno un ruolo ecologico fondamentale perché controllano la crescita della vegetazione nella tundra, oltre ad essere una risorsa alimentare fondamentale per i carnivori che abitano la regione, e per le popolazioni indigene che si rifanno alla caccia di sussistenza e le cui tradizioni, come gli svariati riti di passaggio all’età adulta, sono legati a questa specie. Tra Canada e Alaska, negli ultimi 20 anni, le principali mandrie di caribù hanno subito un declino del 56% a causa del riscaldamento globale, che qui sta avvenendo con una velocità di 2 o 3 volte superiore rispetto al resto del mondo, della perdita di habitat, del prelievo venatorio, delle difficoltà di gestione da parte di un numero variegato di agenzie ed enti privati, e dell’inquinamento, tra cui quello determinato dalla presenza di microplastiche.
Dagli uccelli, un segnale d’allarme
Uno studio condotto tra il 2003 e il 2019 su 1.265 nidi di uccelli marini, 378 nidi di passeriformi, e 231 di anatre e altri anatidi, ha fatto emergere la correlazione diretta tra la vicinanza delle infrastrutture petrolifere e la disponibilità a portare a termine la covata da parte dei genitori. Rumore, polvere, traffico e alterazioni idrologiche contribuiscono infatti allo stress ambientale e sembrano facilitare la presenza di predatori come gabbiani, corvi, e volpi artiche.
La crisi climatica aggrava ulteriormente la situazione. La neve si scioglie prima e più in fretta. Questo fa sì che gli insetti, che costituiscono il cibo per i pulli di svariate specie, emergano in anticipo creando un importante disallineamento temporale tra la disponibilità di cibo e le loro necessità nutritive mettendone potenzialmente a rischio la salute e la sopravvivenza.
Infine, il fatto che le regioni artiche si stiano riscaldando a un ritmo molto più elevato rispetto alla media globale, rende questi ecosistemi particolarmente vulnerabili: i cambiamenti nel permafrost, nella copertura nevosa e nelle precipitazioni comportano alterazioni dell’habitat che possono compromettere sia la nidificazione che le rotte e le tempistiche delle migrazioni.
Raschiare il fondo del barile
La scoperta del Prudhoe Bay Oil Field ha portato velocemente alla costruzione del Trans-Alaska Pipeline System, un oleodotto che collega Prudhoe Bay al porto di Valdez, 1.300 chilometri più a sud. Un sistema di trivelle, pompaggio e trasporto che minaccia la sopravvivenza di un ecosistema fragile come la tundra artica, e di specie che in migliaia di anni di evoluzione hanno sviluppato adattamenti fondamentali per sopravvivere ad un clima rigido e ad oscillazioni nella disponibilità di cibo.
Nel solo Arctic National Wildlife Refuge è potenzialmente possibile osservare più di 200 specie di uccelli e vi si trovano anche foche, trichechi e tutte e tre le specie di orsi presenti nel continente nordamericano: l’orso nero, il grizzly e l’orso polare. Caratteristiche che non hanno fermato l’uomo dall’invadere questa regione fragile e dal costruire un sistema che trasporta una media di 1.8 milioni di barili di greggio al giorno.
I grandi migratori dell'artico sono in pericolo
I dati pubblicati nel 2023 dalla National Oceanic Atmospheric Administration (NOAA) nell’Arctic Report Card spiegano che, dal 1940 a oggi, le temperature nella regione artica sono aumentate di 0,25°C ogni 10 anni, con implicazioni sull’estensione e lo spessore del ghiaccio marino e del permafrost che continuano a diminuire minacciando la sopravvivenza delle comunità indigene costiere e di svariate specie come il caribù di Barren (Rangifer tarandus groenlandicus). Questi animali formano grandi mandrie che possono raggiungere le centinaia di migliaia di esemplari e migrano due volte l'anno: in primavera si spostano nella tundra priva di vegetazione vicino alla costa, dove si riproducono e le femmine partorisco; in autunno, invece, tornano al sicuro nella foresta boreale.
Quando si spostano, i due branchi principali della regione, (Bathurst e Porcupine) percorrono circa 1.350 Km in linea d'aria tra le loro aree di distribuzione estiva e invernale, dando vita ad uno dei più incredibili spettacoli della natura. I caribù hanno un ruolo ecologico fondamentale perché controllano la crescita della vegetazione nella tundra, oltre ad essere una risorsa alimentare per i carnivori che abitano la regione, e per le popolazioni indigene che si rifanno alla caccia di sussistenza e le cui tradizioni, come gli svariati riti di passaggio all’età adulta, sono legati a questa specie. Tra Canada e Alaska, negli ultimi 20 anni, le principali mandrie hanno subito un declino del 56% a causa del riscaldamento globale, che qui sta avvenendo 2 o 3 volte più velocemente rispetto al resto del mondo, della perdita di habitat, del prelievo venatorio, delle difficoltà di gestione da parte di agenzie ed enti privati, e dell’inquinamento, tra cui quello determinato dalla presenza di microplastiche.
Dagli uccelli, un segnale d’allarme
Uno studio condotto tra il 2003 e il 2019 su 1.265 nidi di uccelli marini, 378 nidi di passeriformi, e 231 di anatre e altri anatidi, ha fatto emergere la correlazione diretta tra la vicinanza delle infrastrutture petrolifere e la disponibilità a portare a termine la covata da parte dei genitori. Rumore, polvere, traffico e alterazioni idrologiche contribuiscono infatti allo stress ambientale e sembrano facilitare la presenza di predatori come gabbiani, corvi, e volpi artiche.
La crisi climatica aggrava ulteriormente la situazione. La neve si scioglie prima e più in fretta.
Questo fa sì che gli insetti, che costituiscono il cibo per i pulli di svariate specie, emergano in anticipo creando un importante disallineamento temporale tra la disponibilità di cibo e le loro necessità nutritive mettendone potenzialmente a rischio la salute e la sopravvivenza.
Infine, il fatto che le regioni artiche si stiano riscaldando a un ritmo molto più elevato rispetto alla media globale, rende questi ecosistemi particolarmente vulnerabili: i cambiamenti nel permafrost, nella copertura nevosa e nelle precipitazioni comportano alterazioni dell’habitat che possono compromettere sia la nidificazione che le rotte e le tempistiche delle migrazioni.